Riconvertirsi o perire. Piccole, medie o grandi imprese, ricerca, innovazione, capacità di competere: la realtà che Start up Italia, la grande inchiesta che Il Sole 24 Ore ha avviato da giovedì scorso, sta portando alla luce è quella di un paese che ricomincia, che riparte e che fa della più impressionante crisi economica e finanziaria degli ultimi ottant'anni un'occasione straordinaria per rialzarsi. Con una doppia consapevolezza: che nulla sarà più come prima e che per anni la ripresa che ci attende sarà pallida e debole.
In questo l'Italia è avvantaggiata, perché noi siamo maestri nell'affrontare l'emergenza e il paese che lavora e che produce è lontano mille miglia ed è infinitamente migliore dell'Italia ufficiale. Tutto vero e tutto giusto ma c'è un però e c'è una verità scomoda che è meglio guardare in faccia e con cui bisogna fare i conti: le tante iniziative dell'Italia che stiamo raccontando e che continueremo a raccontare sono tutte bellissime, scaldano il cuore e accendono le speranze, ma il vero salto di qualità l'Italia lo fa se vince le scommesse proibitive e se risolve i casi-simbolo e i test di frontiera con colpi d'ala al limite dell'impossibile. Uno per tutti: lo stabilimento di Termini Imerese, nato nel '68 come SicilFiat ed entrato a far parte a pieno titolo del gruppo Fiat esattamente quarant'anni fa, è dentro o fuori Start up Italia? Il paese riparte con un grande polo industriale in meno o anche nel Mezzogiorno fare industria e fare impresa è possibile e lo è senza pagare il pizzo e senza imboccare le scorciatoie dell'assistenzialismo?
È questo che fa davvero la differenza, ma diciamo la verità: con o senza la Fiat, oggi l'impianto di Termini Imerese non è in Start up Italia. Ma può ancora entrarci e forse un giorno ci entrerà. Per ora è quasi un sogno o, se volete, una scommessa pensare che in Sicilia, nella regione a più bassa intensità manifatturiera del Mezzogiorno, c'è uno stabilimento industriale di rilevanti dimensioni (1.400 dipendenti che producono in due turni 380 vetture al giorno in un'area di 414mila metri quadrati) che non solo sopravvive alla crisi ma che sta in piedi e va avanti con le sue gambe. Eppure è una partita ancora tutta da giocare, che si può vincere e che non parte da zero.

Diseconomie con cui fare i conti
Della decisione della Fiat di rompere il vaso di Pandora di Termini Imerese si può pensare quel che si vuole ma un merito va riconosciuto a Sergio Marchionne: quello di aver infranto il muro dell'ipocrisia e di aver dato la parola non ai pregiudizi ma ai numeri, sapendo che dietro i calcoli più sofisticati ci sono sempre persone in carne e ossa e che di questo bisogna tener conto. Non è responsabilità dei lavoratori di Termini, di cui tutti riconoscono la qualificazione professionale, ma se produrre l'auto nello stabilimento siciliano costa all'azienda mille euro in più a vettura che produrla nella fabbrica polacca di Tichy il problema c'è e non è nemmeno nuovo. Colpa di un indotto industriale che attorno a Termini non è mai decollato e che obbliga lo stabilimento siciliano a far venire da fuori motori, componentistica elettronica, lamierati. Colpa della logistica e dei trasporti che rendono insostenibili e antieconomici i costi di produzione. E colpa del contesto socio-economico che sta attorno a Termini e che genera diseconomie finora insuperate.
È una realtà sgradevole ma non si può nascondere la testa sotto la sabbia. Del resto, non è la prima volta che il destino di Termini Imerese sale alla ribalta e la Fiat sollevò la questione già negli incontri di Palazzo Chigi nel 2002 quando la casa torinese sembrava sull'orlo del fallimento. Poi alla guida del Lingotto è arrivato Marchionne e ha fatto il miracolo ma nemmeno il vulcanico amministratore delegato della Fiat può moltiplicare pani e pesci. Oggi però una novità, anche se amara, c'è: stavolta non si parlerà dell'emergenza di Termini Imerese per mettersi a posto con la coscienza e poi riporre la pratica nel cassetto, ma per risolverla.
La soluzione non è dietro l'angolo: Torino è pronta a cedere l'impianto anche alla concorrenza (come cambiano i tempi e le filosofie rispetto ai tempi della battaglia per la privatizzazione dell'Alfa...) perché non crede più nella sostenibilità economica dell'auto a Termini. Prima sembrava che a sostituire il Lingotto arrivassero i cinesi, poi gli indiani e da ultimo è affiorato il fondo di private equity Cape Natixis di Simone Cimino con il suo progetto di sunny car: prepariamoci a una raffica di annunci e di colpi di scena tutti da verificare, ma di sicure ci sono solo due cose.

La prima è che la gestione di un impianto del calibro di Termini non si improvvisa e che raggiungere l'equilibrio economico non è un gioco da ragazzi, ma l'altra è che la peggiore delle soluzioni possibili sarebbe quella di tenere in vita lo stabilimento solo artificialmente e cioè con i sussidi, pagati da tutti noi e a fondo perduto, dello stato o della regione Sicilia. Se nell'isola fosse impossibile continuare a produrre auto sotto un altro marchio e senza perdere un mare di soldi, meglio allora sarebbe esplorare la seconda delle ipotesi messe in campo dalla Fiat: la disponibilità di Torino a studiare e a collaborare alla riconversione industriale di Termini per produrre qualcos'altro, che ancora nessuno e nemmeno Marchionne sa cosa sia, ma che può avere futuro solo se sta economicamente in piedi.
Ammesso che ciò sia praticabile, è evidente che non sarà un'impresa facile, ma non si parte da zero. Non siamo ancora allo Start up Italia ma qualche idea circola già anche se finora non è ancora venuta alla luce. Sul tavolo ci sono almeno sei progetti allo stato primordiale e in Sicilia ci sono almeno sette centri di ricerca pronti a scendere in campo e a dare una mano. Ma andando in quali direzioni e per fare che cosa?
«In realtà – spiega l'economista industriale Riccardo Gallo, che in passato è stato direttore generale del ministero del Bilancio, vicepresidente dell'Iri e fino a qualche mese fa presidente dell'Ipi, l'agenzia del ministero dello Sviluppo economico per la promozione industriale – a disposizione delle istituzioni e delle imprese c'è già il progetto Resint (Rete siciliana per l'innovazione tecnologica: www.resintsicilia.net), che è stato realizzato in associazione dall'Unioncamere Sicilia, dal Censis e dallo stesso Ipi, e che ha condotto un censimento a tappeto sulle esigenze delle piccole e medie imprese dell'Isola e sulle potenzialità scientifiche locali con l'obiettivo del trasferimento di tecnologie alle aziende più piccole. La rete Resint ha censito ben 180 strutture di ricerca presenti in Sicilia e ha individuato 120 tecnologie richieste dalla aziende siciliane. Questo lavoro – sostiene Gallo – può essere molto utile per Termini Imerese perché permette di intrecciare in tempi ragionevoli domanda e offerta di tecnologie disponibili secondo progetti attivabili in loco».

Se si restringe l'analisi dei dati Resint alle lavorazioni meccaniche effettuate nella fabbrica dell'auto, per Termini Imerese si scopre la possibilità di implementare almeno sei progetti industriali in grado di rispondere alla domanda di tecnologie avanzata dalle pmi siciliane. Che cosa si potrebbe dunque fare nell'attuale stabilimento Fiat in alternativa all'auto che Torino non considera economicamente sostenibile? I principali progetti possibili che emergono dall'indagine Resint sono sei e sono finalizzati a:
1) creare sistemi di automazione, robotica e informatica per supportare la gestione del magazzino della fabbrica di Termini e per minimizzare le diseconomie insite nella lontananza territoriale delle aziende specializzate;
2) attivare strutture capaci di fare test di validazione su nuovi prodotti e processi produttivi anche in questo capaci di minimizzare gli svantaggi della lontananza territoriale;
3) sviluppare un'offerta locale di macchine industriali concepite per la specifica realtà siciliana e più adatte di quelle del nord che oggi vengono utilizzate nell'isola ma che risultano poco adeguate alle esigenze di raccolta di uva e agrumi;
4) attivare tecnologie e macchine per trattare il pescato, dalla eliminazione della lisca alla salatura;
5) organizzare competenze tecnologiche per la progettazione, il design, la prototipazione virtuale per la produzione nautica, settore nel quale in Sicilia sono in corso rilevanti investimenti ma scarseggia il relativo know how tecnologico;
6) realizzare macchinari per la lavorazione dei materiali non metallici (lapidei) con l'occhio soprattutto alle esigenze della Sicilia occidentale.

Le competenze da coinvolgere
«Il censimento di Resint ci offre un'altra opportunità e ci dice – rileva Gallo – che questi progetti possono essere attivati sfruttando le competenze e l'esperienza di centri di ricerca collaudati e presenti sull'Isola». Tra quelli indicati dall'indagine ce ne sono in particolare sette che sembrano particolarmente attrezzati per disegnare il futuro industriale di Termini: a) quattro dell'università di Palermo e cioè il dipartimento di meccanica, il centro interdipartimentale tecnologie della conoscenza, l'istituto di studi sui sistemi intelligenti per l'automazione e il dipartimento di design; b) due dell'università di Catania: il dipartimento di ingegneria industriale e meccanica e il dipartimento di ingegneria elettronica e dei sistemi; c) l'istituto di tecnologie avanzate per l'energia del Cnr di Messina.
Ovviamente per far decollare queste idee-progetti e attivare queste competenze occorre evitare scorciatoie assistenzialistiche e prevedere piani di formazione e anche di mobilità territoriale per i lavoratori di Termini Imerese. «Però – è la conclusione dell'ex presidente dell'Ipi – un'impostazione di politica industriale come quella suggerita dal progetto Resint avrebbe il pregio di essere bottom up, cioè pensata e plasmata dal basso e dunque rispettosa delle peculiarità socio-territoriali senza le forzature centralistiche e antistoriche di un tavolo politico-sindacale romano che in questa situazione non può fare granché».
Il progetto Resint è una cosa seria e Riccardo Gallo è un economista industriale di comprovata esperienza ma per riconvertire un impianto del peso e delle dimensioni di Termini Imerese basta una cordata siciliana e basta far leva sulle iniziative, sulle competenze e sulle energie locali? I dubbi non mancano, i pareri sono discordi ma la discussione è aperta. Perfino un alfiere dello sviluppo locale come Carlo Trigilia, ordinario di sociologia economica al Cesare Alfieri di Firenze e presidente della Fondazione Res–Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia che ha appena diffuso il suo primo rapporto intitolato Remare controcorrente e dedicato a imprese e territori dell'innovazione in Sicilia, mette le mani avanti: «Immaginare che Termini Imerese entri nel club Start up Italia – osserva Trigilia – non è un'eresia, ma è una scommessa troppo grossa perché si possa vincere solo localmente. Le forze imprenditoriali e le competenze siciliane sono una buona base di partenza, ma senza il sostegno di un grande gruppo industriale non si va lontano. Serve la spinta locale e la sponda nazionale e globale. Prima di rinunciare all'automotive esplorerei tutte le possibilità esistenti, non escluse le competenze e le tecnologie presenti nel gruppo Fiat per le macchine agricole e i loro possibili collegamenti con l'agro-industria siciliano. Se tutto ciò si rivelasse irrealizzabile e prima di rassegnarsi ad abbandonare la partita, sarebbe altamente apprezzabile se la Fiat facesse un altro passo avanti e presentasse essa stessa un progetto alternativo di riconversione di Termini, sulla base del quale stanare tutte le resistenze e incalzare le istituzioni a fare la loro parte per adeguare le dotazioni infrastrutturali e rendere l'intero contesto sociale ed economico compatibile con un polo industriale e manifatturiero di successo».
Innovare è sempre difficile e farlo al Sud lo è enormemente di più: «Solo unendo le forze locali con un grande gruppo come la Fiat si può vincere la sfida e sarebbe bello farlo – insiste Trigilia – sulla base di un progetto industriale con forti effetti distrettuali e capace di stimolare e trasferire competenze tecnologiche dal polo industriale all'indotto». Auto o no, Fiat o no, per ora la rinascita dell'impianto di Termini Imerese è ancora un sogno, ma le porte di Star Up Italia sono sempre aperte.